“Una grande fotografia è la piena espressione di ciò che l’autore sente del soggetto che sta fotografando nel senso più profondo; per questo è la vera espressione di ciò che lo stesso fotografo sente sulla vita nella propria complessità”.
– Ansel Adams –
Quando incontro le mie coppie per i preventivi dei servizi fotografici di matrimonio, e i miei clienti in generale, ed è il momento di spiegare cosa riceveranno a lavoro finito, davanti la frase “avrete un n. X di foto lavorate”, nei loro volti si legge sempre la solita espressione smarrita, spesso seguita da domande tipo, prima fra tutte l’immancabile: “quindi sono quelle che ci stamperai?”.
Fatico sempre a spiegare questo concetto, perché nonostante l’avvento del digitale abbia rivoluzionato le nostre vita già da anni, siamo ancora troppo abituati a fare l’equazione lavoro del fotografo = stampa delle foto.
Ci tengo molto a chiarire questo aspetto per diversi motivi. Ma vediamo prima di tutto brevemente cos’è la post produzione delle fotografie, di cui trovate qualche esempio in questo post.
La post produzione esiste da quando esiste la fotografia e fa parte integrante del processo creativo. Quando si scattava in analogico pari importanza aveva il processo di sviluppo del negativo e il processo della stampa. In fase di sviluppo attraverso distinti agenti chimici, tempi di utilizzo e agitazione della tank, si poteva variare il contrasto, l’esposizione e quindi recuperare eventuali alte luci bruciate come nel caso si avesse scelto una esposizione privilegiando le ombre.
Oggi è diventata un’esigenza dettata dalla necessità di sviluppare i dati grezzi (raw) delle fotocamere digitali, ma non solo. Attraverso la lavorazione, le foto prendono vita: attraverso software specifici si agisce su tagli, luci e colori, vengono eliminati gli elementi che disturbano la composizione e corrette piccole imperfezioni dei soggetti. Questo perchè capita di scattare in condizioni che non siano le più favorevoli (sopratutto per quanto riguarda la luce) e perchè anche se spesso le foto grezze sono già perfette, lavorandole indubbiamente si valorizzano.
Sarebbe però sbagliato pensare che lavorare una foto, significhi esclusivamente utilizzare programmi per applicare filtri, correggere difetti, creare o spostare oggetti della scena, applicare scritte o effetti artistici.
Al di là dei tecnicismi con cui non voglio tediarvi, la cosa importante è capire che in fase di post produzione la foto subisce un processo teso a valorizzarla e interpretarla. Chi la opera, cerca un risultato dettato da sensazioni, stati d’animo ed emozioni che vuole evocare. E’ attraverso questo processo che il fotografo crea un’immagine personale, distinta e riconoscibile dalle altre, perché le da una propria riconoscibilissima impronta.
- Come capita per tutte le professioni che hanno a che fare con creatività e intelletto, anche con quella del fotografo i clienti sono un pò restii a comprendere perché ti devono pagare se non ricevono nulla di tangibile come una stampa. Spesso non si conosce quanto e quale lavoro c’è in realtà dietro la foto finale che tanto vi piace e che vedete sui nostri siti o sui nostri profili social (per non parlare del classico commento di fronte ad una foto ben riuscita “ah, facile con photoshop!”), e non si non si riesce a distinguere tra servizio fotografico e prodotti fotografici che possono completarlo (stampe, album, pannelli etc).
La post produzione è un processo lungo, che richiede tempo e pazienza, che inizia solo con la regolazione dei valori della foto (nitidezza, saturazione dei colori, luci ed ombre, contrasti, bilanciamento del bianco…) e che quindi è giusto che sia retribuito.
- Diffidate sempre dei fotografi (o aspiranti tali) che vi dicono che non usano photoshop! Il 99% delle volte non è vero: fingono palesemente, oppure (peggio) non è che non lo usano, lo usano poco e spesso male, perché non sono in grado! Il risultato sono sfocature strane sui volti nel vano tentativo di togliere le imperfezioni, colori saturati al massimo, clonazioni dei personaggi, la comparsa del mare a piazza San Pietro (giuro che ho visto una foto così!) e cose simili (di opinabile gusto aggiungerei).
Usare photoshop e software simili non è un reato, l’importante è farlo ad arte e cercando di non abusare e comunque fare in modo che l’aspetto finale della foto risulti naturale.
- Ci tenevo a scrivere questo post anche per motivo che ritengo fondamentale: voglio che chi mi ingaggia sia perfettamente consapevole della propria scelta.
Quando spiego come lavoro ai miei clienti, spiego sempre con cura anche questi dettagli, faccio vedere i miei lavori, gli album, ma qualche volta capita di trovarmi di fronte a richieste un pò strane, come eliminare persone dalle foto, aggiungere paesaggi che non ci sono, o di essere addirittura clonati in una o più immagini.
Ecco, queste sono cose che non potete chiedermi. Non solo perchè ci tengo a consegnarvi un lavoro elegante e che non vi annoi nel tempo, ma sopratutto perché credo profondamente nel valore documentativo della fotografia, perchè faccio wedding reportage, e perchè credo che la post produzione sia un mezzo per valorizzare le foto, migliorarle e non per stravolgerle.
In definitiva, le infinite lavorazioni possibili in fase di post produzione, sono unicamente frutto del senso artistico del fotografo e vengono fatte in totale indipendenza. Sta al cliente capire se questo tipo di interpretazione rispecchia i propri gusti e scegliere di conseguenza.